Mondo
Palestina. Chi comanderà nel dopo Arafat? La sfida nello Stato che non cè
I moderati contro i radicali. Abu Mazen contro il mitico Barghuti. In gioco la ripresa delle trattative. E un diverso equilibrio tra potere militare e potere politico.
di Paolo Manzo

Chi sarà il successore di Yasser Arafat? Per ora solo due sono le certezze: la data – domenica 9 gennaio 2005, ovvero il giorno stabilito dalla direzione politica palestinese per le prossime elezioni presidenziali, quando dalle urne uscirà il nome del nuovo presidente dell?Anp (Autorità nazionale palestinese) – e la politica estera Usa nell?area che, con la nomina di Condoleezza Rice a segretario di Stato, garantisce a Israele una continuità garantita.
Cominciamo dai candidati in lizza: Mohammed Dahlan, 43 anni, ex ministro della sicurezza interna e uomo forte di Gaza; Marwan Barghuti, 45 anni, capo riconosciuto dell?attuale Intifada e attualmente in un carcere israeliano; Ahmed Qorei, più noto come Abu Ala, 66 anni, attuale primo ministro e tra i protagonisti dei negoziati segreti di Oslo del 1993; Mahmoud Abbas, 71 anni, alias Abu Mazen, neo presidente dell?Olp. Analizziamo le loro possibilità.
Abu Ala è il più sfavorito, essendosi assunto il difficile ruolo di ?traghettatore? in quanto premier attuale dell?Anp, e dovendo sovrintendere alle operazioni elettorali del 9 gennaio. Abu Dahlan e Abu Mazen appartengono entrambi alla corrente dei ?moderati? e, de facto, correranno assieme alle elezioni. Del resto, che siano uniti lo hanno già dimostrato (loro malgrado) lo scorso 16 novembre, quando nella tenda eretta nell?ex quartier generale di Arafat sono stati ?accolti? al grido di «servi degli Stati Uniti» e «traditori» dai militanti delle Brigate dei martiri di al-Aqsa, fedeli al segretario generale di al-Fatah nella Striscia di Gaza, Ahmed Hilles. Dahlan ha già detto che «Abu Mazen vincerà con il 65% dei voti, perché lo aiuteremo noi», resta da vedere cosa faranno i ?radicali? che, oltre alle accuse di tradimento, hanno anche sparato contro la coppia, uccidendo una delle loro guardie del corpo, un agente della sicurezza e incendiando le vetture di entrambi.
Secondo autorevoli (e palestinesi) fonti, il violento scontro a fuoco di domenica 14 novembre è stato «un avvertimento perché Abu Mazen non lasci fuori dal cerchio del potere gli attivisti armati di al-Fatah, legati a Moussa Arafat e al leader dei tanzim, Hilles. Non sarà l?ultimo incidente di questo tipo e, anzi, le possibilità di un assassinio cresceranno tanto più la leadership palestinese si avvicinerà a un accordo per farla finita col terrorismo e riprendere il negoziato con Israele». I ?moderati? di Abu Mazen e di Dahlan premono per un nuovo tavolo dei negoziati, invitando i palestinesi a interrompere l?Intifada e a proporre una resistenza passiva o popolare, mirata a proclamare uno Stato palestinese indipendente. Il ricorso alla violenza, a loro avviso, non ha portato ad alcun risultato in passato. Critici nei confronti dell?Anp, che secondo loro non ha saputo reagire alla militarizzazione dell?Intifada, i ?moderati? chiedono una riforma delle istituzioni politiche. Ben visti sia dall?Europa che dagli Usa, i ?moderati? sono da considerarsi i favoriti nella successione di Arafat.
Anche se i ?radicali? delle Brigate dei martiri di al-Aqsa hanno già bocciato l?ipotesi di Abu Mazen alla guida dell?Anp, rilanciando la candidatura di Marwan Barghuti, leader in Cisgiordania di al-Fatah e in carcere in Israele, dove sta scontando cinque ergastoli. Del resto, se Barghuti fosse scarcerato, una sua vittoria elettorale sarebbe più che probabile: un sondaggio all?interno dei Territori palestinesi nello scorso settembre lo poneva saldamente al secondo posto nei cuori della gente. Secondo dietro Arafat.
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